E’ di recente pubblicazione un libro di Marta Petreu sulla «”malattia” (fisica e psicologica) e il travagliato cammino di pensiero di Emil Cioran.»
Marta Petreu, per chi non la conoscesse, è autrice di diversi scritti su Cioran e soprattutto di un libro – fondamentale per comprendere la fase del pensiero “politico-romeno” del Nostro – “Il passato scabroso di Cioran“.
Vi propongo la breve recensione di Antonio Di Gennaro, pubblicata sul suo blog, del libro di Petreu, Sulle malattie dei filosofi: Cioran, Milano, Criterion Editrice, 2019.
Marta Petreu, Sulle malattie dei filosofi: Cioran
Malattia reale o malattia immaginaria, per me è lo stesso. Voglio dire che ho sempre male da qualche parte, ho una consapevolezza esasperata della mia incapacità di star bene. Più che il corpo, è il mio essere a farmi male.
(E. Cioran)
Discutendo negli anni ’80 con il giornalista fiammingo Fred Backus, a seguito della pubblicazione in Olanda della traduzione de L’inconveniente di essere nati, e sollecitato a esprimersi sul tema della “malattia”, Emil Cioran afferma: «La malattia è una questione di intensità. Tutto ciò che è malattia va molto più in profondità di ciò che si definisce normale. Possiamo dire che la malattia sia un grado di realtà superiore rispetto alla condizione di normalità. Sotto tutti gli aspetti. Ho sempre pensato che le persone che non hanno conosciuto alcuna malattia siano superficiali. La malattia è stata anche la causa di questo libro». E ancora, alla scrittrice Ann Van Sevenant confesserà nel 1992: «La malattia è una prova. È la malattia che costringe a riflettere. Non c’è poeta o filosofo che non abbia sofferto fisicamente».
Al rapporto tra il tema della “malattia” (fisica e psicologica) e il travagliato cammino di pensiero di Emil Cioran è dedicato l’approfondito e documentato saggio della studiosa romena Marta Petreu, “Sulle malattie dei filosofi: Cioran”, recentemente apparso in Italia, grazie alla neonata casa editrice Criterion di Milano. Della Petreu conosciamo in Italia autorevoli e voluminosi studi sulla storia e la cultura romena (Il passato scabroso di Cioran, Dall’Olocausto al Gulag), nonché una sua importante silloge poetica dal titolo, marcatamente cioraniano, “L’apocalisse secondo Marta”. Con questo nuovo contributo, si arricchisce nel nostro Paese la presenza di testi originali e decisivi per la comprensione della figura e dell’opera del pensatore transilvano. Attraverso un lavoro esegetico puntuale, minuzioso e costantemente attento alle fonti, la Petreu offre, nell’ambito della “storia degli effetti”, una possibile chiave interpretativa circa la genesi del pensiero di Cioran, focalizzandosi sul temi della “patologia” e della “fisiologia”.
Nelle primissime pagine del suo interessante lavoro critico, la pensatrice romena scrive:
Se leggiamo Al culmine della disperazione tenendo conto anche delle lettere di Cioran a Bucur Ţincu e del contenuto dei saggi, apparsi su riviste, che anticipano il volume, ci rendiamo non solo conto che la malattia è stata per Cioran una vera realtà e che la sua arte poetica è veramente somato-lirica, ma comprendiamo anche quanto egli sia stato, in quanto scrittore, autentico e onesto; cioè ci rendiamo conto che tutte le righe che ha scritto sono state il frutto dei dolori del suo corpo (p. 36).
E ancora:
Se si prende sul serio la malattia di Cioran, il suo libro di debutto potrebbe anche essere letto come una cartella clinica o come un voluminoso fascicolo medico – il quale, in maniera insolita, si trasforma gradualmente in un documento metafisico, di natura estatica, che testimonia una terribile esperienza mistica (p. 44).
Il filo conduttore che attraversa l’interpretazione della Petreu è dunque il nesso tra anima e corpo, tra la psiche e la carne, tra lo spirito immateriale e la fatticità corporale. Esiste secondo la studiosa romena uno stretto legame tra la caducità fisica e l’elaborazione di un’esperienza concettuale, come già aveva avvertito Cioran in vari passaggi dei Cahiers: «È incredibile come tutto in me, assolutamente tutto, e in primo luogo le idee, derivi dalla fisiologia. Il mio corpo è il mio pensiero, o meglio il mio pensiero è il mio corpo»; sino a sentenziare che «È il corpo a suggerirci le nostre dottrine».
Stando a queste proficue indicazioni cioraniane, Marta Petreu sviluppa il proprio discorso ermeneutico seguendo l’indissolubile intreccio tra esteriorità e interiorità, tra incarnazione e follia. Tutto il corpus concettuale non è altro che una risposta effimera alla precarietà della nostra vacillante condizione organica. Ma poco o nulla può il pensiero di fronte all’oggettiva situazione di malessere o di infermità fisica. È una partita impari, dove la questione del senso (intimo) si sottrae al male assurdo della patologia. «La mente – sostiene Cioran – non resiste al tracollo del corpo».