La rivista on line Critica letteraria in questi giorni sta presentando una serie di resoconti dei redattori presenti al Salone Internazionale del libro di Torino.
Ne ho approfittato per fare la mia parte: uno degli incontri a cui sono stato, come indicato nel post precedente, riguardava appunto Cioran.
Link: http://www.criticaletteraria.org/2013/05/salto13-cioran-al-salone-del-libro.html
Emil Cioran (1911-1995), scrittore romeno – francese, non è autore da incontri formali o accademici.
Rifiutò tutti i premi letterari, di cui aveva evidentemente una pessima opinione (Sainte-Beuve, Combat, Nimier, Morand, ecc.), tranne il Rivarol nel 1949, che accetterà giustificandolo come un’esigenza finanziaria.
Ci trovava troppa vanità, troppo formalismo, troppa inutile autocelebrazione.
Non frequentava nessun ambiente accademico, non partecipava a convegni o simili e l’unica concessione alla malinconica girandola di promozioni letterarie cui si assiste con un certo smarrimento tutt’oggi, sono state le straordinarie interviste raccolte dalla Gallimard nell’anno della sua morte e tradotte in italiano nel 2004 dall’Adelphi sotto l’evocativo titolo di “Un apolide metafisico. Conversazioni”.
Con tali premesse, si può ben comprendere che Cioran non è autore che si concilia con un fenomeno di massa come è una fiera del libro.
Già l’anno scorso, nonostante la sua fama ormai ampiamente riconosciuta in tutto il mondo e nonostante uno dei due paesi ospiti fosse la Romania, nel Salone internazionale del libro di Torino era totalmente e incomprensibilmente assente, ma tutto sommato anche ciò era in linea con il personaggio.
Quest’anno invece Cioran “appare” nel padiglione 3 del Salone, nell’area Incubatore dedicata alle case editrici emergenti, per la presentazione del libro della Mimesis Edizioni, Lettere al culmine della disperazione (1930-1934), che fa il verso al suo primo saggio scritto (in romeno) nelle notti insonni della giovinezza, Al culmine della disperazione.
Il libricino (98 pagine) riprende la corrispondenza di Cioran negli anni della sua giovinezza (tra i 19 e i 23 anni) con alcuni suoi amici romeni, in particolare con Bucur Ţincu (amico d’infanzia), Petre Comarnescu (promotore di una nota associazione e rivista culturale dell’epoca, “Criterion”) e Mircea Eliade, storico delle religioni e componente della celebre triade romeno–francese, di cui, oltre Cioran, faceva parte anche Eugène Ionesco, esponente di spicco del teatro dell’assurdo e autore de La Cantatrice Calva.
Nelle lettere, pur in uno stile ancora acerbo, sono presenti tutte le tematiche cioraniane: la sofferenza e il dolore, la disperazione, la morte, lo scetticismo e il cinismo e sopra tutto l’incredibile lucidità e l’arguta capacità di osservazione (“per me tutto si riduce alla comprensione della vita”, pag.27) che hanno fatto di Cioran uno dei più grandi pensatori del Novecento, pur nella sua assoluta umiltà (in una lettera a Mario Andrea Rigoni, pubblicata nel libro “Mon cher ami”, lo pregava perentoriamente di togliere in un commento la parola “grande” da “grande scrittore del novecento”).
L’incontro, dopo una breve presentazione di Giovanni Rotiroti, psicanalista e professore di Lingua e Letteratura romena presso l’Università di Napoli (autore di altri libri su Cioran) che ha curato questa antologia, si trasforma in un reading avvincente.
Emergono così alcuni particolari fin qui sconosciuti: il suo iniziale proposito di scrivere una tesi su Kant (la scriverà invece su Bergson) o il suo disinteresse per il giornalismo:
“tutti i giovani di una certa cultura, che entrano nel mondo del giornalismo, iniziano prima a discutere con incredibile passione di problemi lontani dall’attualità, ma poi finiscono con effimeri reportages”.
Coerentemente con l’impostazione del libro (dove ha scritto la postfazione), conclude l’incontro Antonio Di Gennaro.
Il suo intervento è una sorta di indagine psicologica sulle motivazioni della disperazione cioraniana: “ho la disperazione nel sangue; in me non è un sentimento o un atteggiamento, ma una realtà fisiologica, per non dire fisica” (pag. 89).
Per Di Gennaro,
“Cioran, privato dalla gioia (illusoria, effimera, momentanea) dell’amore, racconterà per una vita intera, la desolazione (reale, fattuale) di una vita senza amore” (pag. 91).
Una tesi affascinante, ma a mio avviso un po’ forzata, che riprende perfino un episodio del primo amore – e dunque la prima grande delusione amorosa – di un Cioran adolescente.
Non so se ha senso cercare di scoprire “la causa prima di tanta sofferenza”…quello che più interessa il lettore credo invece sia lo stile “feroce” di Cioran che nei Cahiers (Quaderni, 1957-1972) non a caso affermerà:
“In letteratura, tutto ciò che non è spietato è noioso” (pag. 535).
[E. Cioran, Lettere al culmine della disperazione (1930-1934), a cura di Giovanni Rotiroti, Mimesis Edizioni, 2013]
Sono interessato al file audio. Come posso ottenerlo? Grazie.
La richiesta – vale per gli altri naturalmente – va inoltrata all’indirizzo savarino70 @ gmail.com.
Il file ha una dimensione abbastanza rilevante: 52 megabyte, pertanto la condivisione avverrà con l’invio di un link all’email di richiesta, attraverso Google Drive.