Nel 2009 viene tradotto per la prima volta in francese uno dei libri più discussi di Cioran: “Schimbarea la fata a Romaniei” del 1936.
Il Corriere della Sera ne propose un breve estratto che, pur essendo già noti i contenuti, sorprese allora non pochi e continuerà a sorprendere ancor oggi tanti intellettuali e lettori appassionati.
Su questo aspetto ritornerò più volte, anche perché la questione è delicata e complessa.
Dovrei dire, come sempre in questi casi, “bisognerebbe contestualizzare lo scritto” ma preferisco piuttosto sottolineare l’estremo pudore con cui Cioran parlerà di questo scritto: non rinnegherà nulla del suo passato -come tanti ipocriti e opportunisti hanno fatto o avrebbero potuto fare- e lo riterrà più che altro un conturbante effetto del proprio entusiasmo giovanile.
INEDITI ESCONO IN FRANCIA I TESTI «MALEDETTI», POI RIPUDIATI, DEL CELEBRE INTELLETTUALE ROMENO
Cioran Ritratto dell’ artista da giovane hitleriano
Gli scritti filonazisti del filosofo, prima della «conversione»
Il giudizio «Non posso non ammirare l’ orgoglio infinito che i tedeschi provano nel culto del Führer».
S e c’è una cosa che amo negli hitleriani è il culto dell’ irrazionale, l’ esaltazione della vitalità in quanto tale, l’ espansione virile delle forze, senza spirito critico, senza riserve e senza controllo.
Sono tutti d’ accordo nel dire che non si può essere nazional-socialisti senza una partecipazione spontanea e irriflessiva a una missione storica, senza una tensione generale di tutta la propria personalità, la cui vibrazione vi inserirà in modo originale nella nazione.
Solo gli elementi originali contano: solo le forze irrazionali della vita possono giustificare un’ azione e garantirne l’ autenticità.
Una vera e propria estasi dei dati primari, degli elementi primordiali non falsati: ecco cos’è questo irrazionalismo, nella cui visione lo spirito, la cultura e la morale sono definiti come prodotti derivati.
La scienza per la scienza non ha alcuna ragione d’ essere; la scienza per la vita, ecco quel che conta.
Il vitalismo costituisce l’ implicazione filosofica dell’ hitlerismo.
In verità, l’ hitlerismo ha semplicemente volgarizzato i principi della filosofia della vita che, da Nietzsche a Simmel, Scheler e Klages, non ha fatto che mostrare il carattere originale dei valori vitali rispetto al carattere derivato e inconsistente dei valori dello spirito; la mobilità e lo slancio creativo della vita rispetto alla consistenza rigida dello spirito. (…) L’ammirazione per i simboli primitivi ha come origine il ritorno all’elementare.
I simboli tellurici e la resurrezione della mitologia germanica, il gotico e il barocco apprezzati in maniera esclusiva – espressioni di un dinamismo frenetico – hanno spinto gli hitleriani ad ammirare nella storia quel che agli occhi dei francesi è la cosa meno culturale, più barbara, più priva di stile.
La mistica del sangue ha portato gli hitleriani a un culto mistico della terra in quanto polo opposto allo spirito.
L’integrazione alla terra o, più precisamente, la partecipazione alla sua eterna fecondità, è necessaria per radicarsi in modo sostanziale in una nazione. Di qui, la condanna degli spiriti raffinati e disintegrati, affetti dalla Bodenlosigkeit e che planano, in sospeso, incapaci di adattarsi al divenire irrazionale di un popolo: l’eliminazione del cosmopolitismo e dell’ estetismo e, conseguenza scandalosamente ripetuta, questo invito: il ritorno al popolo, alla nazione concreta e storica.
Per gli hitleriani, la parola Volk ha una risonanza affascinante, irresistibile, totale, come se in un popolo vedessero la presenza di una storia tutta intera. (…)
È difficile dire cosa sia Hitler per la Germania.
È penetrato così profondamente nella coscienza tedesca che è impossibile definirlo obiettivamente.
Quando un uomo diventa un simbolo, non conta più per la sua presenza e la sua esistenza personali, ma per il modo in cui è riflesso e vissuto nella coscienza altrui.
Il nuovo stile di vita tedesco – ritorno all’elementare, culto dell’irrazionale, germanizzazione di tutte le forme e ramificazioni dello spirito, ideale dell’eroe, nobiltà del sangue, ammirazione del popolo, mistica della terra – culmina nel culto fanatico del Führer.
L’ammirazione nordica per l’eroe, come forma suprema della realizzazione dell’uomo, ha trovato nella Germania attuale tutti gli elementi e il quadro che sono necessari alla propria manifestazione.
Nel culto del Führer, i tedeschi provano un sentimento di sicurezza simile a quello derivato dal presentimento, o forse dalla certezza, di un destino grandioso.
Sono talmente pieni di sé che considererebbero naturale che tutti gli altri popoli rinunciassero ai propri territori per offrirglieli.
Non posso non ammirare questo orgoglio infinito e inammissibile. (…)
Tutta la storia della Germania è una successione di momenti la cui affermazione e individualizzazione segnano le tappe di un processo di separazione dalle culture romanze.
Soprattutto la Francia ha approfittato di questo contrasto per definire se stessa.
Ha capito che se il protestantesimo, il barocco, il romanticismo, la mistica e l’espressionismo erano le strade che portavano all’auto-conoscenza germanica, tuttavia essi erano al contempo, per contrasto, gli elementi della propria auto-conoscenza.
L’hitlerismo è l’ ultima rottura con la Francia. Dimostra che una riconciliazione fra i due Paesi non è possibile.
Proviamo a essere futili, supponiamo che fra loro non ci sia una guerra in prospettiva, supponiamo che il problema della sovrappopolazione e della crisi economica si possa risolvere per vie normali.
La pace sarebbe comunque un’illusione perché, fra la missione della Francia nel mondo e quella della Germania, esiste un antagonismo talvolta sordo, talvolta manifesto.
Un antagonismo che l’avvenire dovrà risolvere, in un modo o nell’ altro.
Ma, piuttosto che una conciliazione, la soluzione di tale antagonismo significherà un crollo, dell’uno o dell’altro.
L’Occidente può raggiungere una formula unitaria solo trionfando sul proprio eccessivo pluralismo, solo spezzandolo.
Bisognerà necessariamente che un solo tipo di cultura s’imponga.
Ebbene, poiché la rivalità essenziale è quella che si manifesta fra la cultura francese e la cultura tedesca, sarà l’avvenire a dire chi ha vinto, senza poterlo prevedere oggi.
Quel che è profondamente doloroso è che le unificazioni storiche possono operarsi solo al prezzo di tragedie senza fine.
Sarebbe assurdo e criminale rallegrarsi all’idea che l’Europa conoscerà in futuro un’invasione germanica totale, così come sarebbe assurdo e criminale rallegrarsi all’idea che il tipo latino diventerà universale e distruggerà gli altri.
La storia è una tragedia. Ed è una tragedia perché è tutta intera una questione di destino.
D’altra parte, se l’avvenire ci porrà davanti all’agonia della Francia o a quella della Germania, perché non accettare questa fatalità con minor malinconia?
L’una e l’ altra hanno dato tutto quello che potevano dare. I loro apogei si situano incontestabilmente nel passato.
L’una deve annientare l’altra per l’ unificazione dell’Europa, per il fatto stesso che il loro destino spirituale è compiuto.
L’unificazione dell’Europa sarà possibile solo quando si compiranno totalmente i destini spirituali e si consumerà la loro capacità creatrice, affinché – del complesso dei diversi messianismi – non sussista che il desiderio imperialista di conquiste esterne.
E quando l’Europa avrà un solo stile culturale, entrerà definitivamente, irrimediabilmente, nella storia.
Cioran Emile
Pagina 34
(30 giugno 2009) – Corriere della Sera
(Traduzione di Daniela Maggioni)
I testi
Lo scritto, del 1933, fa parte del Cahier de l’ Herne «Cioran», (pp. 540).
Pubblicati anche «La transfiguration de la Roumanie» (pp. 344), e «De la France» (pp. 80)